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Giovanni Verga è stato un grande scrittore italiano: nato a Catania il 31 agosto del 1840, comincia gli studi di legge nel 1858 ma li interrompe presto per dedicarsi unicamente alla letteratura.
Il suo debutto avviene nel 1861 con la pubblicazione in quattro volumi del romanzo I carbonari della montagna; l’anno seguente, esce Sulle lagune: entrambe le opere sono caratterizzate da una profonda enfasi patriottica.
Nel 1869, Giovanni si trasferisce a Firenze, iniziando a frequentare gli ambienti letterari della città e dando alle stampe i romanzi dalle atmosfere tardoromantiche Una peccatrice e Storia di una capinera, il suo primo grande successo, datato 1871. Dopo aver lasciato Firenze, Verga, nel 1872, va a vivere a Milano, dove resterà fino al 1893: nella capitale lombarda, lo scrittore entra in contatto coi principali esponenti della scapigliatura e comincia a lavorare ai principali scritti della stagione verista, di cui Verga è considerato il più grande rappresentante in Italia.
Vedono quindi la luce, dal 1880 in poi, le novelle contenute in Vita dei campi, presto bissate dalle Novelle rusticane, e i romanzi I Malavoglia (1881) e Mastro-don Gesualdo del 1889: queste ultime due opere costituiscono il ciclo de I Vinti, inizialmente pensato in cinque volumi ma interrotto al terzo, La duchessa di Leyra del 1893.
La poetica verista di Giovanni Verga è caratterizzata dalla descrizione degli avvenimenti registrata impersonalmente da un io narrante, il quale utilizza una lingua che ricalca cadenze e moduli sintattici del parlato tipico della gente comune della Sicilia, condannata ad una misera condizione di vita. Tuttavia, il nucleo tragico delle vicende firmate dall’autore non sta nella denuncia dell’ingiustizia sociale, bensì è individuabile nella tagliente constatazione dell’esito fallimentare di ciascun tentativo di sfuggire ai vincoli imposti dalla tradizione, del totale asservimento dell’individuo alla religione della “roba” e del destino solitario che attende ogni uomo.
Nel 1884, Verga intraprende la produzione teatrale, traendo principalmente da racconti precedenti gli spettacoli Cavalleria Rusticana, La portineria (del 1885), La lupa (1896) e Dal tuo al mio (1903). Grazie all’avvento del teatro verghiano si supera il sentimentalismo del dramma borghese in favore di un linguaggio più scarno ed immediato.
Il romanzo più conosciuto e studiato dello scrittore siciliano è I Malavoglia, edito a Milano nel 1181. La vicenda narrata ne I Malavoglia pone al centro la famiglia catanese Toscano, residente nel paese di Aci Trezza: i Toscano, laboriosi pescatori, sono soprannominati Malavoglia come vuole la tradizione della ‘ngiuria. Il vedovo Padron ‘Ntoni, patriarca della famiglia, vive nella “Casa del Nespolo” insieme con il figlio Bastiano, detto Bastianazzo, e la moglie di quest’ultimo, Maruzza, soprannominata la Longa. La coppia ha cinque figli, i cui nomi sono ‘Ntoni, Luca, Filomena (detta Mena o Sant’Agata), Alessi e Lia; fonte di reddito dei Malavoglia è il peschereccio “Provvidenza”, con cui essi svolgono la loro attività di pescatori.
Quando il figlio maggiore ‘Ntoni parte per la leva militare nell’esercito del Regno d’Italia nel 1863, i Toscano cominciano ad avvicinarsi bruscamente alla rovina: la partenza del giovane ‘Ntoni, infatti, grava molto sulla famiglia in termini economici, e al nonno non resta che il tentativo di fare un grosso affare tramite l’acquisto di una partita di lupini – che si rivelerà avariata – da Zio Crocifisso, suo compaesano ed usuraio, noto per essere caratterizzato da un prepotente pessimismo. Bastianazzo imbarca il carico e parte con la Provvidenza alla volta di Riposto, nel catanese, per vendere il pesce, ma durante la traversata il peschereccio viene sorpreso da un naufragio, in cui perdono la vita Bastianazzo ed il suo garzone, mentre la partita di lupini finisce dispersa in mare.
In seguito alla tragedia, i Toscano devono vedersela con la riparazione della barca e con il saldo del debito, e ‘Ntoni è costretto a fare ritorno presso la famiglia, riprendendo con insoddisfazione il mestiere di pescatore, senza però portare sufficiente sostentamento ai parenti. Ma nuovi drammi sono in agguato: infatti, Luca muore nella battaglia di Lissa del 1886, mentre Mena e il fidanzato Brasi Cipolla si lasciano; per restituire il denaro a Zio Crocifisso, i Malavoglia devono perfino rinunciare alla Casa del Nespolo, vedendosi così privati della propria reputazione e dell’onore.
La Provvidenza è nuovamente vittima di un naufragio, causando quasi la morte di Padron ‘Ntoni, il quale vedrà la nuora Maruzza perdere la vita a causa del colera. ‘Ntoni decide quindi di lasciare Aci Trezza per cercare fortuna, ma fa ritorno più povero di prima e senza alcuna volontà di lavorare, cedendo al vizio del bere.
La famiglia vende quindi il peschereccio per ricomprare la Casa del Nespolo, mentre ‘Ntoni diviene contrabbandiere vivendo nell’osteria di Santuzza, innamorata di lui e desiderata dal poliziotto Don Michele; in seguito alle lamentele del padre sulla condotta di ‘Ntoni, Santuzza decide di accettare il corteggiamento di Don Michele, provocando una rissa tra i due pretendenti: durante lo scontro, si verifica l’ennesima tragedia. Infatti, ‘Ntoni uccide il poliziotto con una coltellata al petto, finendo in prigione.
Al processo, Padron ‘Ntoni viene a sapere che Don Michele aveva una relazione con la nipote Lia, e perde i sensi: ‘Ntoni viene però scagionato grazie all’avvocato, il quale dichiara che, alla base del duello tra i due, ci fossero motivi d’onore e che ‘Ntoni volesse soltanto difendere la reputazione della sorella che aveva in realtà respinto Don Michele.
Padron ‘Ntoni, ormai anziano e inabile al lavoro, viene ricoverato in ospedale, mentre Lia, macchiata dal disonore, si trasferisce a Catania, dove comincia a lavorare come prostituta; la sorella Mena rinuncia al matrimonio con il carrettiere Alfio Mosca per accudire i figli del fratello Alessi, il quale si è sposato con Nunziata e ha continuato a fare il pescatore, ricomprando la Casa del Nespolo e riunendo i Malavoglia.
La famiglia si reca a trovare Padron ‘Ntoni in ospedale, comunicandogli che vivono nuovamente nella loro proprietà e che potranno quindi riportarlo a casa. L’uomo però muore il giorno prima del suo ritorno presso la Casa del Nespolo, mentre ‘Ntoni fa ritorno ad Aci Trezza e viene pregato dal fratello Alessi di restare insieme al resto della famiglia. ‘Ntoni però sente il peso dei propri errori e si sente colpevole di aver rinnegato i valori con cui era cresciuto: finisce quindi per lasciare nuovamente e definitivamente la Casa del Nespolo, consapevole che si trattasse dell’unico posto dove avrebbe potuto condurre con dignità la propria, turbolenta, esistenza.
“Chi fa credenza senza pegno, perde l’amico, la roba e l’ingegno”
Giovanni Verga